Ormai da tempo e non solo in Italia, è sempre più difficile individuare testate giornalistiche, che libere da potentati economici o politici, operino nel solo pubblico interesse. A questo si aggiungono le centinaia e centinaia di testate online, libere sì, ma di sparare bufale a più non posso, inquinando il web di ridicole teorie e di clamorose stupidaggini.

 

Allo stesso tempo, i tradizionali pericoli per la libertà di stampa sono tutt’altro che diminuiti, la pressione e la violenza contro i giornalisti è una realtà quotidiana che viene affiancata da attacchi sempre più agguerriti ai principi stessi della libertà di stampa.

 

L’opinione pubblica sembra regredita. Viviamo nel regno degli “Webeti”- il nuovo termine coniato da Enrico Mentana – a milioni e milioni gli ebeti del web sembrano tornati indietro di almeno tre secoli, tutti intenti nel ri-domandarsi: fino a che punto si può spingere la libertà di stampa? La libertà di espressione è tollerabile anche quando urta la religiosità altrui?

 

Secoli di scontri e battaglie, dibattiti e letteratura, analisi filosofiche, progressi e conquiste sociali bruciati come niente fosse. Le menti lucide e il senso della ragione, l’analisi razionale e profonda sono bandite e comunque sommerse dalla massa di stolte disquisizioni, di ignoranti affermazioni, di ridicole cafonate che inquinano l’informazione di banalità, inondano il fiume di pensieri superflui, prima ancora che superficiali, che non certo perché raccolgono like su like acquisiscono dignità.

Non siamo mai stati sulla Luna, lo sbarco è una messa in scena hollywoodiana. Kennedy è stato ucciso su mandato della Federal Reserve. L’11 settembre è opera della CIA. Il terrorismo islamico è alimentato dai sionisti. La crisi è insorta per volontà dei poteri forti. I governi europei sono fantocci della massoneria.

Le teorie complottiste fanno persino sorridere, ma che pena, che dolore, che amara tristezza leggere che in fondo i vignettisti di Charlie Hebdo se la sono cercata…

Ma tutto questo non mi impedisce di continuare a concordare pienamente con Albert Einstein quando afferma: “preferisco essere ottimista ed avere torto, piuttosto che essere pessimista ed avere ragione”.

 

All’insegna dell’ottimismo rilevo quindi che qualche cosa sta cambiando. Se proprio vogliamo individuare una data che segna il cambiamento, ebbene punto sul 3 aprile 2016. Quel giorno dello scorso anno può infatti segnare l’inizio di una nuova era per il giornalismo: segna la data in cui l’ICIJ il Consorzio internazionale dei giornalisti investigativi pubblica i risultati di una lunga e condivisa indagine, i cosiddetti “Panama Papers”.

370 giornalisti di 100 diverse testate hanno lavorato per oltre un anno coordinandosi tra loro. Una indagine attenta, profonda, basata su dati e fatti, portata avanti solo ed esclusivamente nel pubblico interesse.

Non qualcuno contro qualcuno (Carlo De Benedetti contro Silvio Berlusconi), un gruppo contro un altro gruppo (Repubblica-L’Espresso contro Il Giornale – Panorama-Mondadori), non contrapposizioni di caste dai lauti compensi (quella dei magistrati contro quella dei politici), ma anticorpi liberi della società contro le sue malattie e degenerazioni: il potere e l’avidità.

 

Una grandiosa inchiesta di assoluto ed alto profilo che ha toccato tutti i continenti, articoli che sono usciti contemporaneamente in ben 80 paesi, pubblicati all’unisono nello stesso identico giorno, contro il principio egoistico dello scoop, sollevando un clamore e una attenzione planetaria senza precedenti.

L’inchiesta era incentrata sul riciclaggio di denaro e l’evasione fiscale commessi attraverso società di comodo anonime e conti segreti. Vengono implicati 140 politici di rilievo in più di 50 diversi paesi, tra cui 12 leader di livello mondiale. Le autorità giudiziarie di più di 90 paesi aprono fascicoli di indagine sulla base delle informazioni pubblicate e partono spontanee le proteste dei cittadini, dalla Gran Bretagna a Malta, dalla Russia all’India, dal Brasile al Pakistan.

Ma l’importanza di questo episodio non riveste nelle rivelazioni e tanto meno nella portata dell’inchiesta, ma risiede nel contesto in cui nasce e nel modo in cui si sviluppa. Di fatto l’ICIJ ha aperto una nuova strada, dimostrando ed affermando la necessità e l’efficacia di un nuovo modello di giornalismo investigativo, basato prima di tutto sulla libertà e l’indipendenza, ma anche sulla collaborazione tra giornalisti e imprese editoriali di tutto il mondo, una nuova forma di lavoro collettivo permessa dalle nuove tecnologie: il libero giornalismo indipendente e transnazionale.

 

I Panama Papers non hanno solo dimostrato come il giornalismo può ancora influenzare il cambiamento in tutto il mondo, può avere un maggior impatto sulla giustizia, può individuare la responsabilità, può favorire la trasparenza, contribuire ad alimentare il dibattito, l’analisi, la riflessione, può essere strumento di ricerca, di crescita e progresso culturale, sociale, politico.

I Panama Papers hanno indicato una strada per superare i problemi generati dal nuovo scenario dell’informazione. Il calo delle vendite della tradizionale carta stampata, la drastica riduzione della raccolta pubblicitaria hanno ridotto gli attori ai soli portatori di interessi economici e di fatto escluso la capacità delle imprese editoriali di investire in indagini a lungo termine, che sono ormai percepite solo come azioni “ad alto rischio e bassa ricompensa”.

 

Ancora una volta è il mondo anglosassone a difendere ed alimentare la libertà di stampa. Nascono infatti negli Stati Uniti organismi come Pro Pubblica che all’insegna del no-profit raccoglie in assoluta trasparenza fondi per milioni e milioni di dollari che permettono ai giornalisti di operare liberamente e senza alcuna influenza.

Sono ben pagati per il loro lavoro, ma non dipendono da interessi economici o politici e solo così riescono ad operare nel pubblico interesse. Sono esempi di successo che danno speranza, che indicano anche per l’Europa la strada da percorrere per ridare al giornalismo quel ruolo fondamentale che sta ormai miserabilmente perdendo.